inedito – Daniele Bellomi

sentiremo l’acqua splafonare dai chiusini, l’asfalto in perdita appoggiando i piedi, 

in nullità del nostro ieri potremo allora farne vuota cernita, recapito, inelastica 

pazienza, capire rapidamente il possibile, l’accaduto, il domani. nella presenza 

non reciproca saremmo divenuti testata d’angolo, sottrazione del medesimo, 

avremmo annotato la corrente del flusso come un dato telemetrico, a scorci, 

per cali di tensione e repentini sbalzi, ricorsi, scatti del datario: avremmo armato 

la dinamo sulla ruota davanti, con calma spostando l’acqua ai lati della strada, 

senza disporre più di fiato, facendo quantità delle lapidi, corsa ripida, a ritroso, 

recuperando strade e smottamenti, estinti i fuochi e l’energia dispersa ad ogni 

curva. e dire che se sparavi, che se avessi sparato – spirava – spariva, sarebbe

sparita, cambiando colore come edema; nel pieno della calca avrebbe avuto 

certo più importanza il perderne memoria, l’ora trascorsa ad agitarsi nel vano, 

delle malinconie la più fitta, la più scollata dai passi della preventiva e della fine. 

in questo modo sarebbe successo lì, proprio in mezzo alla via deserta, senza 

lo spazio e il tempo dei riferimenti: la più trafitta, avrei preferito, al centro 

del corpo un colpo secco, che togliesse il fiato, e la speranza, senza scampo 

o stremo, a replicare quanto è stato per tutti gli anni a venire, nelle intenzioni 

della barricata. al peso, che è grande, e sia lodato, apporre la proporzione esatta 

della ruggine, l’ipnosi spiegabile, serrata a lenire il senso obliquo della penombra. 

sicuro al gioco del silenzio troveremo modo di spiegare il gelo della tua precisa 

permanenza, la via ignifuga, a mano aperta lo schiaffo, la violenza che preme 

si capisca, vicino il cerino, messo ancora lì a fare fumo, ad annientare il bianco 

della vista: così non capiremo più nulla, non sapremo fare sciopero, né chirurgia, 

sentiremo l’acqua splafonare dai chiusini, l’asfalto in perdita appoggiando i piedi.


(inedito)

*

Una struttura ad anello, quella seguita da questo testo di Bellomi, con l’ultimo verso che riprende specularmente il primo. In mezzo, una micro-epopea di passaggio da disordine a ordine. Nella prima parte, infatti, assistiamo una dopo l’altra a immagini di straripamento, fuoriuscita, che valgono, chiaramente, per l’acqua («sentiremo l’acqua splafonare»), poi per altri elementi fisici («l’asfalto in perdita»), infine anche per elementi astratti («energia dispersa», «perderne memoria»). Per contro, verso la metà del testo si affacciano tentativi di controllo o, quantomeno, comprensione: «la speranza […] a replicare quanto è stato per tutti gli anni a venire», «l’ipnosi spiegabile», «troveremo modo per spiegare il gelo». Ma la stessa composizione circolare imprime una logica di perpetui ribaltamenti: la forma plastica e fluttuante della realtà (fisica e non) si impone sul tentativo di comprensione, diventa, col suo esatto sparpagliamento, più forte della ragione: «non capiremo più nulla, non sapremo fare sciopero, né chirurgia», e il destino di deviazioni sarà costretto a ripetersi.

A.F.P,